Dona un neurone
29 Aprile 2017
La Fonte (351 articles)
Share

Dona un neurone

“credo di aver una lacrima nell’occhio, mi sento come il re del mio mondo, ‘quelli che mi odiano’ ormai sono come le api senza pungiglione, cadono a terra morti… Eminem
L’ultima violenza, in ordine di tempo, facebookiana è sulla campionessa paraolimpica Bebe Vio, oggetto, in questi giorni, di terribili insulti online. La pagina Facebook, che auspicava pesanti violenze ai danni della schermitrice, è stata ripetutamente segnalata come inappropriata da parte di numerosi utenti sconcertati dall’accanimento contro la ragazza.
Bebe che dall’età di undici anni vive “indossando” protesi a braccia e gambe, dopo aver contratto una meningite fulminante, si è detta colpita da quanto accaduto: “Sono amareggiata perché sono anni che dò tutta me stessa e lotto per gli altri. Sono delusa perché mi fanno tristezza le persone che usano Internet per insultare” ha dichiarato all’Ansa, confermando inoltre di aver denunciato gli autori della pagina. E insieme a Catelan ha lanciato l’hastag “regala un neurone, aiuta un hater”.
Nonostante le numerose segnalazioni, secondo le ricostruzioni del Codacons, gli amministratori del sito avrebbero risposto che la pagina avrebbe rispettato gli standard (permettendogli così di rimanere online a lungo). Ma di gruppi simili ne esistono a decine soltanto in Italia. Nascono e rinascono in continuazione. Uomini che umiliano le donne sfruttando l’effetto gogna sconfinata dei social network. Uomini che bersagliano le donne con epiteti ignobili vili. “Onanisti Anonimi”, come li ha definiti Enrico Mentana che scriveva: “Oggi ho formalmente rotto il silenzio sull’esistenza di gruppi su Facebook che raccolgono normalissime foto di ragazze altrettanto normalissime, che le ritraggono in viso, o alla loro festa di laurea, o intente a fare shopping, rubate da utenti maniaci e messe alla mercé di uomini altrettanto maniaci, costellate di commenti che inneggiano allo stupro e all’umiliazione delle stesse”.
Maurizio Di Fazio per L’Espresso ha pubblicato un’inchiesta sugli stupri virtuali (e ipotetici reali) che potrebbero partire dal social di Zuckerberg, iscrivendosi a questi club privati per killer seriali e documentando dall’interno di queste bacheche elettroniche.
Ci sono “Cagne in calore” che conta più di 18.000 persone al suo interno ed invita a non segnalare niente e nessuno, altrimenti si rischiano sprangate sui denti, oltre che l’eliminazione virtuale. In “La esibisco” si raccolgono foto amatoriali e avvistamenti di donne impotenti e all’oscuro di quello che ne sarà del loro corpo. Esiste anche “Zoccolette deliziose 2.0” che vieta severamente qualsiasi forma di compravendita delle donne in mostra, il che ci dice che sia già capitato, contestualmente gli amministratori invitano al massimo rispetto per le ragazze che si vedono.
Su un sito leggo: Sono una studentessa italiana e scrivo per esprimere disappunto e senso di impotenza in relazione ad alcuni eventi recenti che vi hanno coinvolti. Come saprete, Facebook è stato recentemente invaso da gruppi ‘privati’ nei quali chiunque può pubblicare foto di donne – e spesso ragazze – senza il loro permesso. Si tratta frequentemente di fotografie che le ritraggono nude o addormentate, talvolta mentre camminano per strada, talvolta le foto sono prese dai loro profili social privati e a volte si tratta di casi di revenge porn. Un fattore è comune a tutti questi casi: le donne e ragazze raffigurate sono vittime di stupro virtuale. Nella maggior parte dei casi, gli amministratori di queste pagine dichiarano apertamente che il loro scopo è di umiliare le donne. Ho segnalato molte di queste pagine Facebook – ce ne sono a decine soltanto nel mio paese, l’Italia – ma, fatta eccezione per due casi, ho ricevuto sempre la stessa risposta: “La pagina non viola i nostri standard della comunità”.Ogni volta che leggo queste parole mi sento arrabbiata, umiliata e frustrata. In quanto spazio virtuale, Facebook è anche spazio pubblico e dovrebbe essere sicuro per tutti. Oggi è chiaro che Facebook non è un luogo sicuro per le donne. Come cittadina di un paese in cui, nel 2016, 116 persone sono state vittime di femminicidi e lo stupro è illegale ma spesso giustificato mentre la vittima è spesso incolpata, penso che i vostri standard siano inaccettabili. Essi affermano che il mio seno, i miei capezzoli e il mio sangue mestruale sono offensivi se io decido di pubblicarli, ma qualcun altro può utilizzare le mie foto non autorizzate per segarsi, purché lo faccia in un gruppo privato. Caro Facebook, se lo stupro virtuale non viola i tuoi standard comunitari, allora i tuoi standard comunitari violano le donne. Violano metà della popolazione mondiale, violano la dignità umana. Cordiali saluti. Una donna indignata
Continuiamo a subire ogni giorno, a dover parlare di storie di donne ammazzate, di violenze fisiche, di lotte per la parità e guerre ostinate per conquistare diritti fondamentali sul lavoro e nella vita, ma ignoriamo quanto possa essere devastante un linguaggio sessista. Non si può ulteriormente permettere l’indecente e primitiva abitudine di svilire le donne con questa spaventosa facilità: la violenza possiamo riconoscerla e abbiamo il dovere di combatterla.
Un giro di vite necessario, dal punto di vista dell’opportunità sociale, ma anche economico.  Come rivela il Financial Times per Facebook è un momento fondamentale e deve riuscire a controllare i contenuti che vengono pubblicati. Nei primi tre mesi del 2013 il gruppo californiano ha generato ricavi di 1,46 miliardi di dollari, con un aumento del 38% rispetto allo stesso periodo dello stesso anno soprattutto grazie all’implementazione di nuovi strumenti che permettono agli inserzionisti di indirizzare le loro pubblicità ai singoli utenti.
­­­E dunque la domanda si ripropone: li vogliamo eliminare o no? Le parole formano i pensieri e a questi seguono le azioni.

La Fonte

La Fonte