il soldato solo
26 Febbraio 2010 Share

il soldato solo

 

Sempre le generazioni adulte hanno guardato con scetticismo, se non con sospetto, al nuovo che avanza. Il nuovo che l’Italia sta sperimentando ormai da sedici anni è una dissolvenza, una nebbia in cui tendono sempre più a sbiadire valori forti e per contro ad affermarsi la crisi dello stato sociale, la incapacità di distinguere il giusto dall’ingiusto, la negazione del dissenso, ma soprattutto la diserzione civile di fronte allo spettacolo del disastro.

Impegno è diventata una parola spregiativa e chi la nomina fa la fine di quel soldato di cui narra uno dei più prestigiosi filosofi del nostro tempo, Karl R. Popper, di quel soldato appunto, che un bel giorno si ritrovò da solo a marciare al passo, mentre tutti gli altri erano nel disordine e nella confusione.

Orgoglio e presunzione quelli del soldato “solista”? Tralasciando l’analisi scientifica che Popper fa seguire a questo esempio, va riconosciuto al militare il merito per aver osato dissentire dal suo battaglione.

Dissentire: altro termine vietato. Perché chi dissente si pone fuori da una mischia che sempre e concordemente urla le proprie convinzioni.

Torna alla mente un altro “solista”, quel cavaliere inesistente di Italo Calvino dietro la cui bianca armatura si nasconde una coscienza sempre vigile e una tenace volontà di combattere.

Il romanzo, è bene ricordarlo, vede protagonista un guerriero modello, il cavaliere Agilulfo, che non possiede un corpo, ma solo un’armatura che gli consente di essere perfettamente efficiente nei rituali ma lo priva dell’anima, che lo fa apparire impeccabile e allo stesso tempo inafferrabile.

La situazione che stiamo vivendo ci costringe a percepirci “solisti” quando sarebbe più opportuno confrontare le opinioni, valutare insieme vantaggi e svantaggi di una situazione, riconoscere i reciproci errori ed impegnarci insieme per rivitalizzare istituzioni pseudodemocratiche che populisticamente esercitano il potere solo con decisioni a maggioranza. Se si prendesse atto dell’esistenza del carattere etico della vita democratica, si uscirebbe da quella situazione di scoramento che prende quando la violenza e il clamore dei fatti ci sommerge. Cosa può il singolo a fronte della corruzione dilagante che pervade tutti i settori della vita pubblica? È possibile porre un freno alla corruzione morale? Solo se lo Stato torna ad essere il primo garante della legalità può porre un argine ai due disvalori imperanti: quello della separazione e dell’annientamento. È inaccettabile assistere quotidianamente alla trasgressione della legge, al trionfo della furbizia, della disonestà, del cinismo e dell’avidità.

Se ci si guarda intorno, ammesso che sia ancora possibile incrociare uno sguardo, si incontrano volti inespressivi. E gli occhi, un tempo specchio dell’anima, assomigliano sempre più a quelli di una rana.

La similitudine va spiegata: l’occhio della rana percepisce solo il movimento per cui l’animale può morire di fame in mezzo alle mosche morte perché il suo occhio non le vede quando sono immobili; se c’è un filo d’aria l’occhio vede le ali muoversi, e l’animale fa scattare la lingua per mangiare le piccole prede. Rischiamo di diventare tutt’uno col sistema imperante e, per dirla con le parole di Calvino “di non fare più attrito con nulla, di non avere più rapporto con ciò che ci sta intorno”.

Apriamo le finestre, lasciamo entrare il filo d’aria, attiviamo il nostro occhio! ☺

annama.mastropietro@tiscali.it

 

Tags 2010, Marzo2010
eoc

eoc