la borsa e la vita   di Loredana Alberti
27 Aprile 2012 Share

la borsa e la vita di Loredana Alberti

 

Venti giorni fa mi hanno rubato la borsa.

Mi hanno rubato la borsa con dentro 150 euro e tutti i documenti: patente, codice fiscale, codice sanitario, esenzione ticket, libretto sanitario, carta d’identità, esenzione della cintura per la macchina, bancomat, carta di credito.

Mi hanno rubato la borsa con tutto, presso la libreria Ambasciatori di Bologna; per chi non la conosca è un edificio a tre piani nel centro della città: un luogo dove oltre i libri che sono distribuiti su tre piani (al secondo i mobili della storica libreria antiquaria di Roberto Roversi), ci sono un bar, ristorante, osteria. Al primo piano dov’ero, c’è un grande tavolo con quotidiani, si ha la possibilità di leggerli in pace o di prendere un libro con calma, leggerlo e se vuoi, dopo, comprarlo e così agli altri piani. Un megastruttura dove i bolognesi si ritrovano, un luogo di tranquillità dove puoi leggere, socializzare, passare un poco del tuo tempo usando quella parte di te che ancora non è attanagliata dalla paura del momento.

Il furto ha distrutto anche quest’isola del mio sogno, un luogo dove potere allentare i freni, non sentirmi addosso le lamentazioni e le richieste incalzanti di infelici che ti chiedono cibo e soldi, la tensione da scippi e furti o la visione di mondo “irreale” dove a tre-quattromila euro si vende un capettino da sogno di quelli di Armani o Dolce e Gabbana. Un luogo, gli Ambasciatori, dove credi di respirare cultura, pane dell’anima per non morire subito, piangendo, strappandoti il cuore o cercando di non pensare a quello che ti aspetta fra un’ora, stasera quando dovrai fare quadrare la giornata.

Disperazione, senso di isolamento totale, di incapacità ad arginare la paura: mi hanno levato l’identità, documenti di riconoscimento, soldi per bollette ed anche un residuo di vivacità e di energia che mi avrebbe portato a scalare il giorno, l’ora, il minuto. Il resto è stato una corsa contro la burocrazia per avere qualche documento e potere andare avanti. Intanto ho riflettuto sulla mia disperazione, penso ingigantita in questo momento perché specchio dell’attuale momento sociale.

La mia catastrofe è la catastrofe sociale, una valanga che sta travolgendo e sotterrando, sotto i suoi detriti di sistema morente e corrotto, la speranza, la voglia di vivere, il motivo stesso dei nostri  sacrifici. Monti ci fa sapere che la crisi è superata, che l’Italia è solida. Il Financial Time di contro, ci informa che le farneticazioni dell’uomo voluto dal presidente Napolitano sono da ricovero immediato, la crisi che attanaglia l’Italia, non solo non è finita, ma grazie al suo operato si aggrava e avrà bisogno di manovre correttive. In poche parole, come è successo alla Grecia, dove leggo in internet: “ATENE – La folla preme, sbanda, urla. Qualcuno alza i pugni e picchia sul portone di acciaio. «Aprite, siamo qui dall’alba, abbiamo bisogno di lavoro!». Ragazzi e ragazze, ma anche anziani. Uomini con la barba lunga, donne col viso segnato dalla stanchezza. Dall’altra parte della porta blindata una voce gutturale gela la rabbia che rischia di diventare sommossa: «Siete troppi. Tornate domani». Il centinaio di disoccupati cede. Impreca, bestemmia, alza ancora i pugni; qualcuno crolla in ginocchio. Le facce sono terree, gli sguardi duri. Il sorriso è un ricordo del passato. La Grecia soccombe sotto il peso della recessione: è sull’orlo del fallimento. Ma è già morta. L’Europa, il moderno giurista Dracone, chiede l’impossibile: vivere con 568 euro al mese. Di mense dei poveri ce ne sono venti solo ad Atene. Sette al Pireo. Le ha organizzate la Chiesa ortodossa. Davanti a quella della Santissima Trinità, a due passi dal porto, la fila arriva sulle banchine. Attraversa un’arteria a quattro corsie. Stamattina sono in 300, c’è cibo solo per un centinaio. Molti devono rinunciare. Resistono al gelo che colpisce a raffiche. Soccombono solo quando chiude il portone”.

A Bologna vi sono due mense Caritas; in una, scrive il presidente “Accogliamo quotidianamente nella nostra mensa più di 160 ospiti e su questi, ben 90 sono bolognesi o comunque italiani. Sono persone che chiedono gli inviti e che richiedono un pasto caldo, molti hanno i sussidi della Prefettura per questioni di igiene mentale, ma che con 250 euro al mese riescono a malapena a pagare l'aria che respirano. Quest'anno  c'è stato un notevole aumento delle richieste, che mentre gli altri anni d'estate diminuiva, oggi aumenta di almeno 30-40 persone. Queste situazioni di povertà sono aggravate dall'aumento dei prezzi dei generi alimentari, che sono cresciuti almeno del 10%. Sono gli effetti della crisi economica e della crisi del lavoro”.

La catastrofe sociale avanza e colpisce i più deboli, i più onesti, tutti quelli che hanno sempre lavorato ed operato affinché questo paese fosse in grado di dare un futuro dignitoso non solo a loro stessi, ma anche ai loro figli, anche agli altri. Un paese giusto, democratico, solidale nel quale la vita di ognuno vale più di qualsiasi bilancio o conto economico. Ed invece migliaia sono le aziende che chiudono, decine di migliaia le persone che perdono il proprio lavoro, decine, se non centinaia, gli omicidi/suicidi voluti da uno stato predatore e mafioso. Le persone anziane, con il minimo di pensione, costrette alla fame o al suicidio, come appena accaduto a Gela. Non numeri, ma volti, vite.

Dobbiamo imparare a leggere queste notizie, dobbiamo vederli quei volti, sentire le loro voci, ascoltare le loro disperazioni. A livello di spesa alimentare, in base ai dati Istat 2010 si spendono 215 miliardi, di cui 142,5 per comprare soprattutto pane, carne, latte, latticini e uova da mangiare a casa. In poco meno di mezzo secolo la spesa alimentare è scesa del 20% nel budget destinato ai consumi. In Grecia “La gente compra l’essenziale. Spese di 10, 15 euro al massimo. E spesso non riescono a pagare. Ogni giorno c’è qualcuno che prova a saldare con una carta di credito. Ma è vuota. Allora chiedono di andare a casa per prendere il contante. Spariscono con la merce e non tornano più. Almeno il 30% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Molti si fanno aiutare da parenti e amici. Ma moltissimi non possono far altro che rubare. Gli scippi sono aumentati del 300%. Come gli assalti per strada, i furti dentro casa”.

Mi sento quasi fortunata, ancora non sono a questo punto, ancora esco con la dignità e la libertà apparente da signora sorseggiando un caffè (1 euro) e dandone un altro al ragazzo libico che è di fronte al bar (1 euro); mi rimangono i soldi per le sigarette. Oggi mangerò pasta al pomodoro. Stasera latte. Arriva a Bologna una mia amica greca, mi dice che ad Atene le hanno rubato, mentre mangiava per strada, un panino, l’hanno scippata del panino. Mi ha detto che avviene molto frequentemente.

Capisco come per illuminazione il perché della mia disperazione: non mi stanno rubando l’identità perché non ho la carta, neppure perché hanno calpestato un luogo che sembrava un’isola di pace. Ma perché tutti, come Truman, sappiamo, intuiamo che fra poco squarceremo il telo dello show e, come ha detto don Gallo, scopriremo che il chierichetto del capitalismo ci sta uccidendo. Spero proprio di vivere fino al momento in cui potremmo obiettare da cittadini contro un governo che ci rende schiavi e induce le nostre vite a scomparire. ☺

 ninive@aliceposta.it

 

 

 

eoc

eoc