La condizione anziana
15 Maggio 2019
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La condizione anziana

L’invecchiamento della popolazione è uno dei fenomeni che maggiormente caratterizza la nostra epoca. L’allungamento medio della vita e il decremento delle nascite comporta una vastità di conseguenze e ripercussioni anche sulle generazioni successive.

Convenzionalmente la condizione anziana si raggiunge con l’uscita dal mondo del lavoro. Secondo il modello economico corrente ciò comporta l’ingresso nel limbo dell’inutilità sociale e della decadenza delle capacità fisiche, in attesa della morte. Valiamo solo in quanto consumatori di farmaci, di protesi, di assistenza professionale. La pubblicità ci martella con “Ho sentito un rumore in garage…” e mille altre chimere. Ma le persone anziane hanno di se stesse una diversa percezione. Con il tempo libero recuperano nuovi spazi d’azione e di svago e questa propensione, che diviene atteggiamento mentale giovanilistico, di una nuova libertà recuperata, proibisce loro di riconoscersi nella condizione di perdita progressiva di capacità sia fisiche sia mentali.

L’altissimo numero d’incidenti domestici, in particolare a persone anziane, indica sia una perseverante errata progettazione degli spazi e delle attrezzature, sia la presenza di barriere fisico-cognitive che rendono difficoltoso l’abitare, sia, infine, l’errata valutazione da parte degli anziani delle loro potenzialità residuali.

La condizione abitativa

Non sono lo spazio o gli oggetti d’arredo in esso contenuti a definire la casa come tale, ma sono le relazioni e i comportamenti che sugli oggetti si consolidano e che nell’ambiente domestico si situano e si praticano, a definirla tale.

Ci sono le case della famiglia allargata, con nonni, figli, fratelli, generi e cognate, suocere e nuore, zii e nipoti e cugini… tutti gradi di parentela in gran parte rimasti nel vocabolario ma privi di consistenza reale, che rimandano a un recentissimo mondo arcaico e desueto, pieno di equilibri complessi, di sottomissioni e prevaricazioni, di gerarchie, con sempre “quella smorfiosa di mia cognata Ginetta che passa tutto il giorno allo specchio mentre io, oltre che a lavorare, devo badare al nonno malato che da due anni non si muove dal suo letto”. Nella casa arcaica si nasceva e si moriva, in essa si svolgeva il ciclo completo della vita. Oggi nascita, morte e cura parentale sono demandate, esternalizzate, svolte dalle badanti, delegate al servizio sanitario, al volontariato o alle cooperative di servizio. Proprio con questo demandare ai professionisti dell’assistenza si è persa una parte del senso della casa quale contenitore della familiarità e delle relazioni parentali più profonde.

La riduzione dei nuclei familiari da multinucleari a mononucleari, e diversi altri fattori, indicano che le persone anziane vivono sostanzialmente in coppia o, dopo la morte di uno dei due, da soli.

Lo stato di solitudine tende a rafforzare le azioni quasi-automatiche, a ripetere gli stessi gesti, nelle stesse ore che, spesso, non corrispondono ai cicli sociali ma a cicli circadiani autonomi. Sedersi sempre allo stesso posto, occupare prevalentemente gli stessi spazi, utilizzare gli stessi oggetti anche se consunti o ammaccati, indossare gli stessi abiti anche se logori, rivelano la tendenza abitudinaria e ripetitiva. La mancanza di progettualità fa in modo che l’habitat non sia più vissuto in modo dinamico ma che divenga una sorta di tana. Della casa si abitano sostanzialmente solo alcune aree scollegate fra di loro, si sviluppano piccole manie per alcuni oggetti rassicuranti, mentre si rifiutano nuovi oggetti o apparati potenzialmente utili per la sicurezza.

Portate in luoghi diversi, nuovi o occasionali, le persone anziane tendono a cadere in stato confusionale, poiché non riescono a percepire e adattarsi alla diversa organizzazione spaziale e funzionale, oppure finiscono per utilizzarne solo alcune parti senza integrarsi nel nuovo sistema.

Le esperienze maturate con le case per anziani hanno dimostrato che è preferibile che le persone continuino a rimanere nei luoghi nei quali hanno intessuto relazioni nel corso della loro vita. Relazioni non solo fra persone ma anche fra persone e oggetti, fra persone e ambienti.

In mancanza di dati chiari e precisi, si ricorre spesso all’immaginario, pensando agli anziani come sempre impegnati in balli di sala o partite di briscola, oppure dediti al giardinaggio o alla cura maniacale della casa. Si finisce così di considerare gli anziani come nuovi bambini, pensando per loro ambienti elementari, con connotazioni cliniche, oppure con colori forti e accesi, che possano stimolare la ricognizione spaziale.

In realtà l’abitazione dovrebbe contenere equamente sistemi funzionali, le cui interfacce riducano drasticamente le possibilità d’errore, quindi d’incidente, e, nel contempo, essere luoghi della memoria e degli affetti. Le relazioni affettive e la memoria, mediate dagli oggetti, possono contrastare il decadimento psicofisico, ritardandone i sintomi più gravi.

Le statistiche ci dicono che ognuno di noi ha un’alta probabilità di trascorrere gli ultimi mesi o ancor più gli ultimi anni di vita utilizzando deambulatori o sedie a ruote, oppure trascorrendo gran parte del tempo a letto, e ricorrendo all’assistenza domiciliare.

In che misura e in che modo si può intervenire per contribuire a un invecchiamento più sereno e a ridurre gli incidenti? È un interrogativo che ci riguarda tutti.☺

 

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