Siamo purtroppo spettatori della onnipotenza dei potenti (chiamati a servire la sovranità del diritto) senza pietas, senza giustizia, senza pace; perciò ci appaiono spesso più contigui alla illegalità che servitori della legalità. La tutela di interessi particolari, l’oblio del cosiddetto “bene comune”, la connivenza con lobby vincenti (che siano mafiose, finanziarie, economiche o di altro genere, che risultino nascoste o palesi, addirittura trionfanti poco cambia) producono, ieri come oggi, lo stesso frutto: «il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità» (ONU, Dichiarazione dei diritti dell’uomo, Prologo, 1948).
«Terra insensibile ormai, dovete ammettere, quella che oltraggia nella sua furia». E’ l’esclamazione di Apollo nel libro finale dell’Iliade (libro 24, versetto 56). Sta parlando di Achille, l’eroe semidivino, l’incarnazione della guerra. L’offesa che egli sta commettendo è grave: per disprezzo, legato al carro di guerra, sta trascinando in mezzo al campo dei greci il cadavere del nemico, Ettore. Questi, in vita, era stato il guerriero avversario che, in battaglia, aveva ucciso un compagno di Achille. Ma da morto – ritenevano i greci – egli non apparteneva più né alla comunità che aveva difeso, né ad Achille che lo aveva ucciso: apparteneva alla terra, poiché non era più la persona di quando viveva e i suoi debiti umani erano estinti. Achille aveva potuto sottrarre ad Ettore la vita, ma non la sua pyiché, la sua anima; negando di restituire il corpo alla terra travalicava ogni codice. Apollo stesso al cospetto di quella tracotanza (hybris) oltre ogni misura affermava: «Achille stesso non può che perdere così facendo».
“Terra insensibile”, immagine scolpita dalla potenza della poesia, risuona anche oggi e squarcia l’orizzonte a penetrare il paradosso delle vicende umane. Achille ha ucciso molti uomini: questo gli è consentito dal codice disumano della guerra; ora, però, uccide la pietà e nessuna mano può permettersi questo senza uccidere nel profondo l’uomo, senza minare la sopravvivenza stessa dell’uomo e senza stravolgere il volere degli dei. La madre, Teti, appare in sogno per convincere il figlio a restituire il corpo di Ettore; segue la drammatica scena di Priamo, padre di Ettore. L’anziano sovrano trova il coraggio di baciare le mani dell’uomo che ha tolto la vita a suo figlio: epica descrizione di una difficile riconciliazione.
Apollo ha protetto il corpo di Ettore e, involontariamente, la reputazione di Achille; ora prova a persuadere gli dei perché intervengano, in quanto l’intera impalcatura del mondo è a repentaglio. Nonostante avesse preparato un piano per sequestrare il corpo di Ettore, gli dei non interverranno, non vorranno metterlo in atto poiché sanno che non funzionerebbe; ciò di cui c’è bisogno è che l’eroe si ravveda.
Benché Omero non parli della vita interiore come noi oggi ne discorriamo, egli ci comunica chiaramente l’idea, attraverso il rifiuto degli dei, che il cambiamento deve avvenire nell’animo di Achille. Il maestro di Nazareth diceva, qualche secolo più tardi, “E’ dal cuore dell’uomo che esce ogni impudicizia, adulterio, omicidio…” preceduto dai profeti d’Israele che invocavano un cuore nuovo.
Giustizia e pace
«Terra insensibile» è la nostra immagine: ognuno di noi assomiglia un po’ ad Achille. Tutti, ognuno a suo modo, abbiamo perso la capacità di provare pietà, mentre a lui come a noi è richiesto di ritrovarla.
La “ybris” dell’oltraggio e della violenza cieca (la parola greca suggerisce tutti e due i significati) trova la contrapposizione nella compassione o pietà. Nella tradizione ebraico-cristiana, fonte della nostra cultura dell’uomo insieme al logos dei greci, il termine è detto con rachamin, plurale di rachem (grembo-utero). Compassione significa letteralmente patire-con, oppure, secondo l’ebraico biblico, assumere un rapporto simbiotico e vitale con altro, come quello tra la madre e il figlio che porta in grembo.
Da Omero alla radice ebraico-cristiana, di cui siamo eredi, riusciamo a cogliere la profondità e gli orizzonti del significato di legge e legalità anche nelle traduzioni laiche della cultura occidentale. Per quanto esse si esprimano come se Dio non ci fosse, non di meno, sono segnate in profondità dall’immergere le radici nella sapienza greca e nel disvelamento (o rivelazione) che la tradizione giudeo cristiana ha introdotto.
«La gloria del diritto» rappresenta laicamente la realizzazione della compassione e della pietà, come Enea, che fuggendo dall’incendio di Troia, porta sulle spalle il vecchio padre Anchise, sebbene gli ritardi e renda più rischiosa la fuga, non come Achille che sfregia il corpo di Ettore.
Le costituzioni moderne, infatti, sorgono storicamente come rivolta dei coloni (quella americana) rivolta contro il sovrano assoluto (quella francese) o dopo grandi tragedie quali il nazi-fascismo e la seconda guerra mondiale (quella italiana e tedesca). Si differenziano radicalmente per principio dagli Statuti (come quello Albertino per il Regno d’Italia) in quanto non provengono dalla concessione di un sovrano, ma proclamano la “gloria del diritto” e l’obbligo dei doveri di ogni persona. La legge è chiamata a codificarne gli ambiti, in simbiosi con la cultura della comunità impegnata, nella “legalità”, a promuovere, incarnare, tutelare, proteggere, garantire a che il diritto si affermi e risplenda rimuovendo gli ostacoli che a ciò si oppongono. Le costituzioni, quindi, contengono una visione compassionevole ovvero giusta, non prepotente o violenta dell’umanità, mettendo al centro il valore di ognuno, per quanto debole egli sia. C’è un qualcosa di sovrano che non può risultare calpestato, dimenticato, non tutelato, non promosso, non garantito; un qualcosa che appartiene all’uomo, è innato in lui, è sacro ovvero intangibile, non disponibile ai poteri: la «dignità».
«Tutto ciò che è buono, giusto, degno, santo, onorevole sia oggetto dei vostri desideri» suggeriva Paolo l’apostolo ai cristiani di Colossi ed invitava quelli di Roma a “stare sottomessi alle autorità, perché ogni autorità è da Dio”. L’autorità era considerata divina perché interprete e custode del “diritto/giustizia”, il vero sovrano, e in ciò pallido riflesso di Dio, il solo giusto. Gesù Messia/Cristo è definito «re di giustizia e di pace». Tutti i Re d’Israele sono giudicati per quanto capaci di fare giustizia e pace altrimenti il profeta è inviato da Dio a rimuoverli, come accadde a Saul sostituito da Davide, o ad accusarli svelando le nascoste malefatte come avvenne per lo stesso Davide, l’eletto.
Terra insensibile
Un fatto di cronaca mondiale: al recente G8, mentre tutti attendevamo, dopo il boicottaggio del protocollo di Kyoto, decisioni forti per il rispetto e la salvaguardia del creato, i potenti hanno deciso che prima del 2050 nulla si farà se non a livello volontario. Questo rappresenterebbe il governo del futuro del mondo mentre i contestatori di tali assurdità ne diverrebbero i nemici.
Un fatto di cronaca regionale: dopo tre convocazioni del consiglio regionale disertate, alla quarta si è discusso circa l’incarico di consulente per la riforma e ristrutturazione della sanità, da affidare ad un ex dirigente della sanità, responsabile con altri del tracollo in cui essa si trova oltre che inquisito, prevedendo per lui un compenso di € 84.000 annuali nel mentre ogni servizio è sottoposto a tagli, vedi la sorte del 118. Come da prassi ordinaria bisognava votare a scrutinio segreto. In tutte le assise, da quelle dei monaci, per l’elezione dell’abate, a quelle dei parlamenti, per i presidenti della Repubblica, sulle persone si vota sempre e solo a scrutinio segreto. Con un cavillo interpretativo della regola codificata si è detto che l’oggetto della votazione non riguardava una persona ma un «atto amministrativo» dell’assessorato competente, perciò il voto poteva e doveva essere palese, per alzata di mano. Occorreva un fotografo ad immortalare la scena e poi accostare tale foto alle sfilate naziste o fasciste con la mano alzata; lo stesso gesto, lo stesso sapore: obbedienza cieca e manifesta al potente di turno. Quando si umilia la propria coscienza, finanche per esprimere un giudizio sulla opportunità di una scelta, nulla di umano è dato, nulla di giusto o legale può accadere, sebbene con forzature appropriate la legge sia chiamata a fungere da foglia di fico. Scriveva S. Benedetto, uno dei veri padri della civiltà occidentale: «custodisci la regola e la regola ti custodirà»; piegare le “regole al proprio tornaconto e non osservarle è l’altra dimensione della empietà, come quella di Achille.
Il sapore della pietas, tradotta nella prudenza delle decisioni, concretizzata nella giustizia delle opere, vissuta nella legalità, forma alta e civile di coscienze libere senza catene di schiavitù, appare lontano da atti simili come «l’oriente dista dall’occidente», mentre proprio così – per quanto l’oriente dista all’occidente – si estende la misericordia (rachamin) di Dio, recita un salmo: quella giustizia onnipotente che si ammanta di misericordia e pietà.
«Terra insensibile ormai», abitata, al dire dei sociologi, né da religiosi né da atei, semplicemente e solo miseramente da idolatri: prostrati al mercimonio dei potenti ma non alla «gloria del diritto». ☺
Siamo purtroppo spettatori della onnipotenza dei potenti (chiamati a servire la sovranità del diritto) senza pietas, senza giustizia, senza pace; perciò ci appaiono spesso più contigui alla illegalità che servitori della legalità. La tutela di interessi particolari, l’oblio del cosiddetto “bene comune”, la connivenza con lobby vincenti (che siano mafiose, finanziarie, economiche o di altro genere, che risultino nascoste o palesi, addirittura trionfanti poco cambia) producono, ieri come oggi, lo stesso frutto: «il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità» (ONU, Dichiarazione dei diritti dell’uomo, Prologo, 1948).
«Terra insensibile ormai, dovete ammettere, quella che oltraggia nella sua furia». E’ l’esclamazione di Apollo nel libro finale dell’Iliade (libro 24, versetto 56). Sta parlando di Achille, l’eroe semidivino, l’incarnazione della guerra. L’offesa che egli sta commettendo è grave: per disprezzo, legato al carro di guerra, sta trascinando in mezzo al campo dei greci il cadavere del nemico, Ettore. Questi, in vita, era stato il guerriero avversario che, in battaglia, aveva ucciso un compagno di Achille. Ma da morto – ritenevano i greci – egli non apparteneva più né alla comunità che aveva difeso, né ad Achille che lo aveva ucciso: apparteneva alla terra, poiché non era più la persona di quando viveva e i suoi debiti umani erano estinti. Achille aveva potuto sottrarre ad Ettore la vita, ma non la sua pyiché, la sua anima; negando di restituire il corpo alla terra travalicava ogni codice. Apollo stesso al cospetto di quella tracotanza (hybris) oltre ogni misura affermava: «Achille stesso non può che perdere così facendo».
“Terra insensibile”, immagine scolpita dalla potenza della poesia, risuona anche oggi e squarcia l’orizzonte a penetrare il paradosso delle vicende umane. Achille ha ucciso molti uomini: questo gli è consentito dal codice disumano della guerra; ora, però, uccide la pietà e nessuna mano può permettersi questo senza uccidere nel profondo l’uomo, senza minare la sopravvivenza stessa dell’uomo e senza stravolgere il volere degli dei. La madre, Teti, appare in sogno per convincere il figlio a restituire il corpo di Ettore; segue la drammatica scena di Priamo, padre di Ettore. L’anziano sovrano trova il coraggio di baciare le mani dell’uomo che ha tolto la vita a suo figlio: epica descrizione di una difficile riconciliazione.
Apollo ha protetto il corpo di Ettore e, involontariamente, la reputazione di Achille; ora prova a persuadere gli dei perché intervengano, in quanto l’intera impalcatura del mondo è a repentaglio. Nonostante avesse preparato un piano per sequestrare il corpo di Ettore, gli dei non interverranno, non vorranno metterlo in atto poiché sanno che non funzionerebbe; ciò di cui c’è bisogno è che l’eroe si ravveda.
Benché Omero non parli della vita interiore come noi oggi ne discorriamo, egli ci comunica chiaramente l’idea, attraverso il rifiuto degli dei, che il cambiamento deve avvenire nell’animo di Achille. Il maestro di Nazareth diceva, qualche secolo più tardi, “E’ dal cuore dell’uomo che esce ogni impudicizia, adulterio, omicidio…” preceduto dai profeti d’Israele che invocavano un cuore nuovo.
Giustizia e pace
«Terra insensibile» è la nostra immagine: ognuno di noi assomiglia un po’ ad Achille. Tutti, ognuno a suo modo, abbiamo perso la capacità di provare pietà, mentre a lui come a noi è richiesto di ritrovarla.
La “ybris” dell’oltraggio e della violenza cieca (la parola greca suggerisce tutti e due i significati) trova la contrapposizione nella compassione o pietà. Nella tradizione ebraico-cristiana, fonte della nostra cultura dell’uomo insieme al logos dei greci, il termine è detto con rachamin, plurale di rachem (grembo-utero). Compassione significa letteralmente patire-con, oppure, secondo l’ebraico biblico, assumere un rapporto simbiotico e vitale con altro, come quello tra la madre e il figlio che porta in grembo.
Da Omero alla radice ebraico-cristiana, di cui siamo eredi, riusciamo a cogliere la profondità e gli orizzonti del significato di legge e legalità anche nelle traduzioni laiche della cultura occidentale. Per quanto esse si esprimano come se Dio non ci fosse, non di meno, sono segnate in profondità dall’immergere le radici nella sapienza greca e nel disvelamento (o rivelazione) che la tradizione giudeo cristiana ha introdotto.
«La gloria del diritto» rappresenta laicamente la realizzazione della compassione e della pietà, come Enea, che fuggendo dall’incendio di Troia, porta sulle spalle il vecchio padre Anchise, sebbene gli ritardi e renda più rischiosa la fuga, non come Achille che sfregia il corpo di Ettore.
Le costituzioni moderne, infatti, sorgono storicamente come rivolta dei coloni (quella americana) rivolta contro il sovrano assoluto (quella francese) o dopo grandi tragedie quali il nazi-fascismo e la seconda guerra mondiale (quella italiana e tedesca). Si differenziano radicalmente per principio dagli Statuti (come quello Albertino per il Regno d’Italia) in quanto non provengono dalla concessione di un sovrano, ma proclamano la “gloria del diritto” e l’obbligo dei doveri di ogni persona. La legge è chiamata a codificarne gli ambiti, in simbiosi con la cultura della comunità impegnata, nella “legalità”, a promuovere, incarnare, tutelare, proteggere, garantire a che il diritto si affermi e risplenda rimuovendo gli ostacoli che a ciò si oppongono. Le costituzioni, quindi, contengono una visione compassionevole ovvero giusta, non prepotente o violenta dell’umanità, mettendo al centro il valore di ognuno, per quanto debole egli sia. C’è un qualcosa di sovrano che non può risultare calpestato, dimenticato, non tutelato, non promosso, non garantito; un qualcosa che appartiene all’uomo, è innato in lui, è sacro ovvero intangibile, non disponibile ai poteri: la «dignità».
«Tutto ciò che è buono, giusto, degno, santo, onorevole sia oggetto dei vostri desideri» suggeriva Paolo l’apostolo ai cristiani di Colossi ed invitava quelli di Roma a “stare sottomessi alle autorità, perché ogni autorità è da Dio”. L’autorità era considerata divina perché interprete e custode del “diritto/giustizia”, il vero sovrano, e in ciò pallido riflesso di Dio, il solo giusto. Gesù Messia/Cristo è definito «re di giustizia e di pace». Tutti i Re d’Israele sono giudicati per quanto capaci di fare giustizia e pace altrimenti il profeta è inviato da Dio a rimuoverli, come accadde a Saul sostituito da Davide, o ad accusarli svelando le nascoste malefatte come avvenne per lo stesso Davide, l’eletto.
Terra insensibile
Un fatto di cronaca mondiale: al recente G8, mentre tutti attendevamo, dopo il boicottaggio del protocollo di Kyoto, decisioni forti per il rispetto e la salvaguardia del creato, i potenti hanno deciso che prima del 2050 nulla si farà se non a livello volontario. Questo rappresenterebbe il governo del futuro del mondo mentre i contestatori di tali assurdità ne diverrebbero i nemici.
Un fatto di cronaca regionale: dopo tre convocazioni del consiglio regionale disertate, alla quarta si è discusso circa l’incarico di consulente per la riforma e ristrutturazione della sanità, da affidare ad un ex dirigente della sanità, responsabile con altri del tracollo in cui essa si trova oltre che inquisito, prevedendo per lui un compenso di € 84.000 annuali nel mentre ogni servizio è sottoposto a tagli, vedi la sorte del 118. Come da prassi ordinaria bisognava votare a scrutinio segreto. In tutte le assise, da quelle dei monaci, per l’elezione dell’abate, a quelle dei parlamenti, per i presidenti della Repubblica, sulle persone si vota sempre e solo a scrutinio segreto. Con un cavillo interpretativo della regola codificata si è detto che l’oggetto della votazione non riguardava una persona ma un «atto amministrativo» dell’assessorato competente, perciò il voto poteva e doveva essere palese, per alzata di mano. Occorreva un fotografo ad immortalare la scena e poi accostare tale foto alle sfilate naziste o fasciste con la mano alzata; lo stesso gesto, lo stesso sapore: obbedienza cieca e manifesta al potente di turno. Quando si umilia la propria coscienza, finanche per esprimere un giudizio sulla opportunità di una scelta, nulla di umano è dato, nulla di giusto o legale può accadere, sebbene con forzature appropriate la legge sia chiamata a fungere da foglia di fico. Scriveva S. Benedetto, uno dei veri padri della civiltà occidentale: «custodisci la regola e la regola ti custodirà»; piegare le “regole al proprio tornaconto e non osservarle è l’altra dimensione della empietà, come quella di Achille.
Il sapore della pietas, tradotta nella prudenza delle decisioni, concretizzata nella giustizia delle opere, vissuta nella legalità, forma alta e civile di coscienze libere senza catene di schiavitù, appare lontano da atti simili come «l’oriente dista dall’occidente», mentre proprio così – per quanto l’oriente dista all’occidente – si estende la misericordia (rachamin) di Dio, recita un salmo: quella giustizia onnipotente che si ammanta di misericordia e pietà.
«Terra insensibile ormai», abitata, al dire dei sociologi, né da religiosi né da atei, semplicemente e solo miseramente da idolatri: prostrati al mercimonio dei potenti ma non alla «gloria del diritto». ☺
Siamo purtroppo spettatori della onnipotenza dei potenti (chiamati a servire la sovranità del diritto) senza pietas, senza giustizia, senza pace; perciò ci appaiono spesso più contigui alla illegalità che servitori della legalità. La tutela di interessi particolari, l’oblio del cosiddetto “bene comune”, la connivenza con lobby vincenti (che siano mafiose, finanziarie, economiche o di altro genere, che risultino nascoste o palesi, addirittura trionfanti poco cambia) producono, ieri come oggi, lo stesso frutto: «il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità» (ONU, Dichiarazione dei diritti dell’uomo, Prologo, 1948).
«Terra insensibile ormai, dovete ammettere, quella che oltraggia nella sua furia». E’ l’esclamazione di Apollo nel libro finale dell’Iliade (libro 24, versetto 56). Sta parlando di Achille, l’eroe semidivino, l’incarnazione della guerra. L’offesa che egli sta commettendo è grave: per disprezzo, legato al carro di guerra, sta trascinando in mezzo al campo dei greci il cadavere del nemico, Ettore. Questi, in vita, era stato il guerriero avversario che, in battaglia, aveva ucciso un compagno di Achille. Ma da morto – ritenevano i greci – egli non apparteneva più né alla comunità che aveva difeso, né ad Achille che lo aveva ucciso: apparteneva alla terra, poiché non era più la persona di quando viveva e i suoi debiti umani erano estinti. Achille aveva potuto sottrarre ad Ettore la vita, ma non la sua pyiché, la sua anima; negando di restituire il corpo alla terra travalicava ogni codice. Apollo stesso al cospetto di quella tracotanza (hybris) oltre ogni misura affermava: «Achille stesso non può che perdere così facendo».
“Terra insensibile”, immagine scolpita dalla potenza della poesia, risuona anche oggi e squarcia l’orizzonte a penetrare il paradosso delle vicende umane. Achille ha ucciso molti uomini: questo gli è consentito dal codice disumano della guerra; ora, però, uccide la pietà e nessuna mano può permettersi questo senza uccidere nel profondo l’uomo, senza minare la sopravvivenza stessa dell’uomo e senza stravolgere il volere degli dei. La madre, Teti, appare in sogno per convincere il figlio a restituire il corpo di Ettore; segue la drammatica scena di Priamo, padre di Ettore. L’anziano sovrano trova il coraggio di baciare le mani dell’uomo che ha tolto la vita a suo figlio: epica descrizione di una difficile riconciliazione.
Apollo ha protetto il corpo di Ettore e, involontariamente, la reputazione di Achille; ora prova a persuadere gli dei perché intervengano, in quanto l’intera impalcatura del mondo è a repentaglio. Nonostante avesse preparato un piano per sequestrare il corpo di Ettore, gli dei non interverranno, non vorranno metterlo in atto poiché sanno che non funzionerebbe; ciò di cui c’è bisogno è che l’eroe si ravveda.
Benché Omero non parli della vita interiore come noi oggi ne discorriamo, egli ci comunica chiaramente l’idea, attraverso il rifiuto degli dei, che il cambiamento deve avvenire nell’animo di Achille. Il maestro di Nazareth diceva, qualche secolo più tardi, “E’ dal cuore dell’uomo che esce ogni impudicizia, adulterio, omicidio…” preceduto dai profeti d’Israele che invocavano un cuore nuovo.
Giustizia e pace
«Terra insensibile» è la nostra immagine: ognuno di noi assomiglia un po’ ad Achille. Tutti, ognuno a suo modo, abbiamo perso la capacità di provare pietà, mentre a lui come a noi è richiesto di ritrovarla.
La “ybris” dell’oltraggio e della violenza cieca (la parola greca suggerisce tutti e due i significati) trova la contrapposizione nella compassione o pietà. Nella tradizione ebraico-cristiana, fonte della nostra cultura dell’uomo insieme al logos dei greci, il termine è detto con rachamin, plurale di rachem (grembo-utero). Compassione significa letteralmente patire-con, oppure, secondo l’ebraico biblico, assumere un rapporto simbiotico e vitale con altro, come quello tra la madre e il figlio che porta in grembo.
Da Omero alla radice ebraico-cristiana, di cui siamo eredi, riusciamo a cogliere la profondità e gli orizzonti del significato di legge e legalità anche nelle traduzioni laiche della cultura occidentale. Per quanto esse si esprimano come se Dio non ci fosse, non di meno, sono segnate in profondità dall’immergere le radici nella sapienza greca e nel disvelamento (o rivelazione) che la tradizione giudeo cristiana ha introdotto.
«La gloria del diritto» rappresenta laicamente la realizzazione della compassione e della pietà, come Enea, che fuggendo dall’incendio di Troia, porta sulle spalle il vecchio padre Anchise, sebbene gli ritardi e renda più rischiosa la fuga, non come Achille che sfregia il corpo di Ettore.
Le costituzioni moderne, infatti, sorgono storicamente come rivolta dei coloni (quella americana) rivolta contro il sovrano assoluto (quella francese) o dopo grandi tragedie quali il nazi-fascismo e la seconda guerra mondiale (quella italiana e tedesca). Si differenziano radicalmente per principio dagli Statuti (come quello Albertino per il Regno d’Italia) in quanto non provengono dalla concessione di un sovrano, ma proclamano la “gloria del diritto” e l’obbligo dei doveri di ogni persona. La legge è chiamata a codificarne gli ambiti, in simbiosi con la cultura della comunità impegnata, nella “legalità”, a promuovere, incarnare, tutelare, proteggere, garantire a che il diritto si affermi e risplenda rimuovendo gli ostacoli che a ciò si oppongono. Le costituzioni, quindi, contengono una visione compassionevole ovvero giusta, non prepotente o violenta dell’umanità, mettendo al centro il valore di ognuno, per quanto debole egli sia. C’è un qualcosa di sovrano che non può risultare calpestato, dimenticato, non tutelato, non promosso, non garantito; un qualcosa che appartiene all’uomo, è innato in lui, è sacro ovvero intangibile, non disponibile ai poteri: la «dignità».
«Tutto ciò che è buono, giusto, degno, santo, onorevole sia oggetto dei vostri desideri» suggeriva Paolo l’apostolo ai cristiani di Colossi ed invitava quelli di Roma a “stare sottomessi alle autorità, perché ogni autorità è da Dio”. L’autorità era considerata divina perché interprete e custode del “diritto/giustizia”, il vero sovrano, e in ciò pallido riflesso di Dio, il solo giusto. Gesù Messia/Cristo è definito «re di giustizia e di pace». Tutti i Re d’Israele sono giudicati per quanto capaci di fare giustizia e pace altrimenti il profeta è inviato da Dio a rimuoverli, come accadde a Saul sostituito da Davide, o ad accusarli svelando le nascoste malefatte come avvenne per lo stesso Davide, l’eletto.
Terra insensibile
Un fatto di cronaca mondiale: al recente G8, mentre tutti attendevamo, dopo il boicottaggio del protocollo di Kyoto, decisioni forti per il rispetto e la salvaguardia del creato, i potenti hanno deciso che prima del 2050 nulla si farà se non a livello volontario. Questo rappresenterebbe il governo del futuro del mondo mentre i contestatori di tali assurdità ne diverrebbero i nemici.
Un fatto di cronaca regionale: dopo tre convocazioni del consiglio regionale disertate, alla quarta si è discusso circa l’incarico di consulente per la riforma e ristrutturazione della sanità, da affidare ad un ex dirigente della sanità, responsabile con altri del tracollo in cui essa si trova oltre che inquisito, prevedendo per lui un compenso di € 84.000 annuali nel mentre ogni servizio è sottoposto a tagli, vedi la sorte del 118. Come da prassi ordinaria bisognava votare a scrutinio segreto. In tutte le assise, da quelle dei monaci, per l’elezione dell’abate, a quelle dei parlamenti, per i presidenti della Repubblica, sulle persone si vota sempre e solo a scrutinio segreto. Con un cavillo interpretativo della regola codificata si è detto che l’oggetto della votazione non riguardava una persona ma un «atto amministrativo» dell’assessorato competente, perciò il voto poteva e doveva essere palese, per alzata di mano. Occorreva un fotografo ad immortalare la scena e poi accostare tale foto alle sfilate naziste o fasciste con la mano alzata; lo stesso gesto, lo stesso sapore: obbedienza cieca e manifesta al potente di turno. Quando si umilia la propria coscienza, finanche per esprimere un giudizio sulla opportunità di una scelta, nulla di umano è dato, nulla di giusto o legale può accadere, sebbene con forzature appropriate la legge sia chiamata a fungere da foglia di fico. Scriveva S. Benedetto, uno dei veri padri della civiltà occidentale: «custodisci la regola e la regola ti custodirà»; piegare le “regole al proprio tornaconto e non osservarle è l’altra dimensione della empietà, come quella di Achille.
Il sapore della pietas, tradotta nella prudenza delle decisioni, concretizzata nella giustizia delle opere, vissuta nella legalità, forma alta e civile di coscienze libere senza catene di schiavitù, appare lontano da atti simili come «l’oriente dista dall’occidente», mentre proprio così – per quanto l’oriente dista all’occidente – si estende la misericordia (rachamin) di Dio, recita un salmo: quella giustizia onnipotente che si ammanta di misericordia e pietà.
«Terra insensibile ormai», abitata, al dire dei sociologi, né da religiosi né da atei, semplicemente e solo miseramente da idolatri: prostrati al mercimonio dei potenti ma non alla «gloria del diritto». ☺
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