l’ardire e il pensiero
20 Febbraio 2010 Share

l’ardire e il pensiero

“Noi dobbiamo tenere la testa sopra il pelo dell’acqua, per continuare a pensare, a ragionare, a guardare lontano, cioè più in là dell’immediato”. È l’introduzione di un discorso tenuto nel 1977 da Enrico Berlinguer. “Scorrendo” quel pensiero se ne intuisce l’estrema attualità. “La politica dell’austerità … può recidere alla base la possibilità di continuare a fondare lo sviluppo economico italiano su quel gonfiamento del solo consumo privato … e può, invece, condurre verso un assetto economico e sociale ispirato e guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici, quali sono la cultura, l’istruzione, la salute, un sano e libero rapporto con la natura”. L’austerità auspicata da Berlinguer prevedeva un’inversione delle tendenze distorsive della società, la redistribuzione delle risorse tra categorie produttive; doveva, cioè, portare al superamento della crisi e alla trasformazione. Nelle intenzioni era la ricerca di un adeguato rapporto tra produzione e qualità dello sviluppo, che non può prescindere, è evidente, da aspetti quali la giustizia, l’efficienza, ecc. Se la politica avesse perseguito questo obiettivo, il capitalismo finanziario avrebbe potuto “fare” quel che ha fatto? Le speculazioni ripetutesi in questi anni, le inevitabili ripercussioni sulle attività produttive, le distorsioni nei mercati delle materie prime, ecc. sono la diretta conseguenza non solo della mancanza di etica, ma soprattutto di regole, quelle che la politica dovrebbe fissare per la tutela di interessi della comunità e della stessa stabilità di un paese. Le norme di regolamentazione di taluni settori del mercato finanziario (quelli che hanno perpetuato meccanismi di sovrapproduzione di ricchezza e alimentato a dismisura i consumi), ad oltre un anno dallo scoppio della crisi, non sono state emanate. Non era forse una priorità dei capi di stato dei paesi più ricchi? Se non ci saranno delle misure in tal senso la storia si ripeterà a breve: le speculazioni daranno il colpo di grazia ad una situazione di per sé già grave; oltretutto, i modestissimi segnali di ripresa saranno vanificati dagli aumenti di tassi d’interesse e dell’inflazione (d’altronde gli stati si sono fortemente indebitati!); allora si porrà il problema della tenuta del sistema imprese all’aumento dei costi e alla stretta creditizia, i livelli occupazionali scenderanno parecchio.

Si possono condividere o meno le idee di Berlinguer, la linea politica e l’analisi che fece, in quel particolare periodo, della capacità del capitalismo di rigenerarsi, ma indubbiamente quelle idee appaiono, alla luce dei problemi passati e recenti o meglio “cronicizzati”, alquanto appropriati. Del contesto produttivo, economico, politico degli anni settanta – ottanta Berlinguer captò gli aspetti negativi, seppe riflettere sulla necessità di mutamento dei modelli di produzione e consumo anche se non sempre individuò le soluzioni. Il suo pensiero ha una portata rivoluzionaria laddove intravede la costruzione di un diverso modello di sviluppo; lo si intuisce anche dalla particolare sensibilità verso l’iniqua distribuzione delle risorse tra nord e sud del mondo. Era una visione ampia dei problemi in un contesto politico immobile, poco dinamico ed aperto, quale quello italiano. Peccato! La questione morale, sollevata trent’anni fa da Berlinguer, non era e, tuttora, non è irrilevante. Taluni mali della politica qualche esponente del passato (e non solo del passato!) li ha “giustificati” sulla base di una sorta di teorema: la scarsità di risorse pubbliche a disposizione dei partiti li avrebbe spinti a degenerazioni, ad attività che poi non erano corrette, legali, ecc. Il dato di fatto, come denunciato da Berlinguer, era che i partiti avevano degenerato e, ahimé, continuano a degenerare. L’Italia appare paralizzata da un immane conflitto d’interesse del Presidente del Consiglio, il Parlamento è snaturato nel suo ruolo legislativo (la decretazione d’urgenza è diventata principale modalità di normazione!), la classe dirigente è asservita; c’è un’opposizione poco compatta nell’azione e un sistema bipolare incartato su se stesso; c’è una seconda Repubblica che, negli intenti, doveva segnare la svolta per le riforme strutturali, ma che mostra il lato peggiore della prima; c’è, soprattutto, crisi. L’auspicio è che la gente rifletta e faccia sentire la propria voce, che la politica torni a fare politica.

Rileggendo le parole di Berlinguer si intuisce quanto si è perso: un percorso politico rimosso, che viene a galla solo nelle commemorazioni, indicazioni basilari di chi aveva colto negatività di taluni meccanismi, superabili solo con il cambiamento. Quelle parole avevano un senso allora, ma evidentemente l’hanno anche oggi!

Non basta dire “yes, we can” per cambiare le cose; vi è la necessità di ardire, pensare, guardare lontano per costruire una società migliore. ☺

ssantoi@tin.it

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