pena di morte
22 Aprile 2010 Share

pena di morte

 

Il 2006 si è chiuso con l’esecuzione di Saddam Hussein che voleva essere simbolica ed esemplare, sulla pubblica piazza mediatica mondiale. Il 2007 si apre con le altre condanne a morte comminate ad esponenti del passato regime iracheno.

Abbiamo ricevuto auguri di pace per il nuovo anno. Ma gli auguri non bastano più: la pace e la guerra non dipendono dalla buona o dalla cattiva sorte, ma da una precisa volontà politica, che spesso è favorita più o meno involontariamente dal nostro agire, parlare, scrivere, votare, e che invece i nostri politici di qualsiasi colore sostengono, o non contrastano, assumendosi una grave responsabilità. Non volendo rendermi complice di questa volontà politica, vediamo come posso attraverso la fonte contribuire a far crescere idee di pace, e di conseguenza azioni più incisive per far cessare le guerre e le criminalità che le determinano.

          Sono certamente contrario alla pena di morte, anche a quella riservata ad un dittatore come Saddam Hussein, e spero che venga abolita al più presto in tutto il mondo. Ma il dibattito che ne è seguito e le successive mosse del governo italiano mostrano non poca ipocrisia e non poche contraddizioni. A nessuno, per esempio, è venuto in mente che Saddam è stato sì accusato dell’uccisione di circa 160 Kurdi, ma ha anche avuto un processo farsa e, per arrivare a questa condanna esemplare, ci sono volute 600.000 vittime della guerra preventiva scatenata da Bush con il pretesto della lotta al terrorismo; il Bush presidente degli Stati Uniti d’America che non solo approva la pena di morte, ma la applica in patria spesso mediante processi un po’ viziati e all’estero addirittura in modo preventivo, senza processo, su semplice sospetto, con le torture nel carcere di Abu Graib o “direttamente” con i bombardamenti di intere città irachene. Un Bush che ha mandato a morire un numero di propri soldati superiore alle vittime dell’11 settembre. Pur avendo ammesso la sua bugia: Saddam non aveva armi di distruzione di massa.

Le guerre in Afganistan e in Iraq sono applicazioni della pena di morte senza alcun processo. Il Ministro D’Alema fa il primo della classe proponendo all’Onu la moratoria sulla pena di morte e fa finta di non sapere che l’Italia è complice di queste guerre, come pure del conflitto Israele-Libano. 

Come si legge dal sito della difesa del Governo Italiano alla voce "Sviluppo dell’operazione" troviamo esplicitato il vero significato della guerra in Afganistan: "l’operazione militare è parte della guerra globale che impegna la grande coalizione nella lotta contro il terrorismo, denominata ’global War against Terrorism’. La guerra include, per definizione, la distruzione di vite umane e l’accettazione della soppressione dei propri simili come ‘mezzo di risoluzione delle controversie’". Il Governo Italiano, violando l’articolo 11 della propria Costituzione, ha aderito per mera subordinazione e per "non essere esclusi dal governo del mondo". (Segnalazione pervenutami da pacifisti fiorentini che hanno lanciato un nuovo appello per il ritiro dei nostri soldati dall’Afganistan, firmato tra gli altri da Padre Alex Zanotelli). I nostri comandi militari, dunque, assieme ai politici, hanno un concetto ben diverso della guerra, rispetto al dettato costituzionale. Nel conflitto in Libano, poi, e sulla evidente tendenza di Israele ad applicare la pena di morte preventiva, l’Italia ha ben precisi interessi industriali da difendere: la vendita di armi a Israele.

Se D’Alema si oppone realmente alla pena di morte, si adoperi anche, per primo, per l’abolizione della preparazione della guerra, cioè degli strumenti (armi, mezzi e uomini) per applicare la pena di morte preventiva.

E’ appena il caso di notare che Saddam non è stato l’unico dittatore sanguinario. Pochi mesi fa, il dittatore Pinochet, protagonista di un altro 11 settembre in Cile, ha potuto morire di vecchiaia senza alcun processo, anzi rivalutato e osannato dai suoi fedelissimi. Un po’ come avviene in Italia, dove alcuni strenui difensori dei “valori cristiani” (mai meglio precisati) ancora rimpiangono Mussolini. Citiamo anche la Nigeria, dove c’è una dittatura che permette all’Agip di distruggere l’habitat, la vita, la cultura e le tradizioni di popolazioni locali, mediante violente repressioni e stragi su cui nessun politico italiano interviene. Salvo poi chiamare “ribelli”, e chissà, in futuro “terroristi”, i rapitori dei tecnici italiani, che invece sono a mio parere da considerare patrioti, difensori della propria “patria” locale.

La verità è che Saddam Hussein, una volta foraggiato dall’Occidente quando faceva comodo, è stato poi scaricato quando è divenuto un ostacolo alla realizzazione dei profitti dei paesi occidentali. E’ stato ucciso proprio per impedirgli di denunciare le complicità occidentali nei suoi crimini. In ogni caso: da che pulpito viene la predica? Quanti, tra i cristianissimi paesi occidentali più o meno democratici, hanno ancora la pena di morte nel proprio ordinamento? Anche l’Italia ce l’ha ancora nel codice militare di guerra. Allora, chi chiede all’Iraq di non eseguire le condanne a morte deve prima battersi per tutte le condanne a morte, legali e non, nel proprio paese. Altrimenti deve rispettare la volontà formale delle istituzioni irachene e i sentimenti di una parte del popolo iracheno. In altre parole: perché ricordarsi dell’atrocità della pena di morte proprio in questa  occasione, per di più dopo che abbiamo distrutto l’Iraq e le pur precarie convivenze tra i diversi gruppi etnici e religiosi, che prima della guerra non erano in lotta? E’ difficile spiegarlo a un popolo che ha subìto una guerra da 600.000 morti e un’infinità di feriti e invalidi permanenti.

Come conciliare, inoltre, la lotta di civiltà contro la pena di morte in tutto il mondo con l’esempio di disprezzo della vita e di condanna preventiva e a dir poco sommaria costituito dalle nuove norme sulla legittima difesa? Una legge che consente di uccidere un (presunto) ladro, cioè qualcuno che si avvicina o tenta di entrare in una abitazione o in un negozio; una legge che ha già fatto vittime, voluta dalla cosiddetta Casa delle Libertà ma non ancora abrogata o rivista dall’attuale maggioranza di governo. Anche qui assistiamo ad un strano concetto di difesa dei “valori cristiani” di fronte agli “incivili”, tipico dei leghisti ma, ahimé, diffuso anche tra la nostra gente

In conclusione penso che la vicenda della condanna a morte di Saddam Hussein e dei suoi gerarchi debba spingere alla massima coerenza i nostri governanti e i tanti manifestanti che non da oggi si battono per l’abolizione della pena di morte. Può essere stato lo spunto per smuovere le coscienze, e allora prendiamola come buona occasione: ma abbiamo il dovere morale di andare fino in fondo, e cercare di rimuovere tutte le altre innumerevoli cause di condanna a morte di fatto, soprattutto delle persone innocenti, in primo luogo la guerra e la sua preparazione, ma poi anche l’intero nostro modello di vita che comporta sfruttamento e ingiustizie nei confronti di altri popoli e conseguenti perdite di vite umane nei modi più diversi.

Rispettando comunque le decisioni di uno stato sovrano, senza condannarlo: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.  ☺

 

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