rimanere nel molise?   di Franco Novelli
4 Ottobre 2013 Share

rimanere nel molise? di Franco Novelli

 

Domenica pomeriggio – 15 settembre 2013 – in Piazza Prefettura, dalle ore 18.00 alle 20.00, un pugno di disperati e di illusi, che politicamente non vogliono morire, nel corso del sit-in organizzato da più associazioni e tra queste Libera contro le mafie, ha chiesto pubblicamente negli interventi  alla classe dirigente regionale e nazionale ed ai cittadini di fare una pausa di riflessione sul tema del probabile intervento militare delle potenze occidentali (USA, Inghilterra, Francia in primis) in Siria contro il despota di questo paese, allo scopo di aiutare gli insorti di questa nazione (tra cui gruppi islamisti e guerriglieri collegati ad aree politiche contigue ad Al Qaeda!) ed abbattere così il regime di Bashar Al Assad.

Dunque, una guerra contro un personaggio politico che all’inizio della sua esperienza di leader ha fatto del “laicismo” (in un ambito regionale profondamente islamizzato) e del socialismo (in economia, per esempio, la proprietà statuale delle fonti di produzione energetica) un punto essenziale (oggi completamente disatteso) della sua amministrazione.

Ora ci chiediamo perché domenica pomeriggio, 15 settembre, c’era soltanto un gruppo molto sparuto di “pellegrini” e “visionari” (anche giovanissimi dell’UDS)? 

Le ragioni non sono difficili da trovare: il pomeriggio della domenica pochi sono intenzionati a sacrificare il proprio tempo libero; c’è anche da mettere in conto che una informazione non tempestiva può non raggiungere il cittadino per poterlo coinvolgere. Poi non dobbiamo escludere che possa esserci una condivisione dell’intervento armato da parte di una consistente percentuale di cittadini; infine, c’è da tener presente, senza infingimenti, la quasi totale indifferenza dei più di fronte ai massacri, al pianto disperato di vecchi, donne e bambini che perdono la vita, alla distruzione di case, città ed infrastrutture civili e militari, in quanto costoro considerano tali sciagurate vicissitudini lontane ed estranee al proprio mondo.

In piazza, dunque, quel pugno di incoscienti ci stava per difendere l’articolo 11 della Costituzione – l’Italia ripudia la guerra… – e per ricordare la figura di Vik Arrigoni – pacifista e attivista dell’International Solidarity Movement (Ism) – ucciso a Gaza il 14 aprile 2011 da militanti islamici -. Inoltre, in piazza quel pugno di illusi ha affermato con forza che il danaro utilizzato per le armi (gli F35) e per la guerra può essere impiegato per una emergenza a doppia faccia, il lavoro e l’immigrazione. Questi due elementi da anni sono il pretesto per sconvolgere il quadro politico nazionale con l’approvazione di norme emergenziali come la legge Fornero sul lavoro e quella per l’immigrazione, considerata un reato dalla Bossi-Fini, leggi che per un lato istituzionalizzano la precarietà a vita e per un altro criminalizzano in maniera illegale e anticostituzionale l’immigrato, riducendolo in vinclis (vedi i Cie) ed esprimendo in questo modo avversione per la democrazia e per lo spirito della Carta Costituzionale, fondamento essenziale della nostra democrazia. 

Ora tutto questo noi – ingenui e illusi – non supponevamo che potesse succedere in forme così vergognosamente classiste, in quanto pensavamo che un minimo di intelligenza tattica nei confronti della democrazia, della libertà, del rispetto delle norme, per esempio, quelle del lavoro, fosse elemento essenziale per la borghesia che da due secoli a questa parte è stata anche capace di attuare concrete riforme sociali, solidaristiche nei confronti delle classi deboli e povere, il cui benessere è anche elemento essenziale per la sopravvivenza dello stesso ceto borghese.

Invece, niente di tutto questo, perché alla borghesia imprenditoriale ed industriale si è sostituito quel rapace ceto finanziario che fa dello spread dei singoli paesi la sua ragion d’essere, impoverendo e deprivando di energie essenziali le democrazie di tutto il mondo. Dunque, quello che potevamo immaginare relativamente ai vantaggi derivanti dalla mondializzazione delle merci e dalla globalizzazione finanziaria, governata da un’ala tatticamente progressista della borghesia, non è stato realizzato. Al contrario, quello che possiamo costatare oggi relativamente al concetto di “porta aperta”, metafora della globalizzazione, è la fallacia delle “magni- fiche sorti e progressive” di leopardiana memoria. La “porta aperta” (quella per intenderci che potrebbe teoricamente derivare dagli accordi di Schenghen) si sta rivelando un vero e proprio boomerang per le nazioni, specialmente quelle dell’area mediterranea e dell’area dei paesi poveri, come siamo stati abituati a definire le nazioni del terzo e quarto mondo.

Dunque, la “porta aperta” spalanca dinanzi a noi un orizzonte sconfinato, caratterizzato però da solitudine e silenzio alla stessa stregua del Deserto dei Tartari, il romanzo di Dino Buzzati. L’attesa senza fine di una condizione sociale progressiva e di una politica attenta alle povertà di ogni tipo è condizione penosa della vita odierna di tutti. Così alla solitudine esistenziale e alla indigenza materiale di miliardi di soggetti si accompagna, in questo momento “sotter- ranea”, almeno per il Nord del mondo, una rabies pugnandi che prima o poi scoppierà, sconvolgendo i rapporti di forza che oggi vedono il capitale finanziario vittorioso ma egoista, ottuso e razzista.

Ma c’è ancora un altro elemento da valutare: il significato di “società aperta” fa emergere quelle fobie che necessariamente le leggi sulla sicurezza alimentano a dismisura.

Il diverso, definito oleograficamente creatura aggressiva e oltremodo pericolosa, incute spavento e spinge all’interno della società aperta il ricco o il privilegiato a chiudersi nel vano tentativo di difendersi da pericoli reali (la reazione rabbiosa dei poveri) o dai fantasmi della sua fantasia.

Gli spazi, che vengono occupati dagli altri, indigenti, straccioni o indesiderati, ci appaiono ristretti e tali da suscitare in noi ansiosa voglia di liberarci assolutamente dell’indesiderato. 

Così nascono le fobie che portano inesorabilmente alla “paura” degli altri, definiti “mostri” e eliminabili con l’i ndifferenza o con norme illiberali. Come vediamo, c’è tanto da fare; nel piccolo, però, segmenti di società civilmente responsabile stanno, mattone sopra mattone, costruendo un edificio prospetticamente democratico, più giusto e solidale nei confronti di quanti sono sopraffatti dalla povertà di ogni tipo.☺

bar.novelli@micso.net

 

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