draquila
31 Maggio 2010 Share

draquila

 

Forse è il caso di partire dalla fine, dal messaggio tutt’altro che rassicurante che un signore con la barba ed i capelli bianchi consegna alla telecamera, poco prima che il film finisca: “Inizi a capire che ti stai facendo vecchio, quando ti accorgi che le cose non cambiano. Inizi a capirlo perché ti sei illuso per troppo tempo che le cose che non sono normali, prima o poi finiscano, mentre ti accorgi che ogni volta che hai pensato “ecco, adesso cade”  in realtà non cade niente. Ma si rafforza. E dura”.

Draquila, il documentario-film girato da Sabina Guzzanti, e da poco presentato anche al Festival del cinema di Cannes, finisce senza speranza, lasciando un vuoto difficile da colmare nello spettatore disposto a ragionare, a rivivere, e a continuare a denunciare tutte le schifezze (chiamiamo le cose col proprio nome, una volta tanto) di chi ha creato business sulla pelle dei morti e dei sopravvissuti al sisma abruzzese del 2009. La regista ha scelto, come era prevedibile, un taglio molto forte, di denuncia feroce e senza mezzi termini, imperniato su due tematiche principali: l’esclusione dei cittadini dalla partecipazione ai processi di ricostruzione, e di riorganizzazione della vita amministrativa, sociale e culturale nel cratere del terremoto, e l’enorme giro di affari, gestito dalla Protezione Civile e dalla Presidenza del Consiglio, messo in piedi con tempismo sospetto (a soli quattro giorni dal sisma erano già pronti e firmati i progetti per le “new town”…), che ha gonfiato le tasche di politici, imprenditori, architetti, ingegneri ed amministratori locali, e di cui oggi si parla sui quotidiani nazionali sotto l’azzeccato termine di “cricca”. Oltre 700 ore di materiale girato dalla Guzzanti ha portato poi al prodotto finale, apprezzabile nei contenuti, meno parziale e fazioso di quanto si possa obiettare, in quanto supportato da una sufficiente quantità di dati numerici certificati, di registrazioni telefoniche impossibili da smentire (una su tutte, i due imprenditori che si fregano le mani durante la notte del 6 aprile 2009, e che ammettono di essersi fatte grasse risate al pensiero di quanti soldi sarebbero piovuti nelle loro tasche, riportiamo testualmente “mica capita un terremoto al giorno, eh”), e condito per la maggior parte del tempo dalle testimonianze degli sfollati, tanto nelle tendopoli, quanto negli alberghi della costa abruzzese. Si rimbalza così dalla signora ultraottantenne che invitata da uno dei volontari della Protezione civile a liberare la tenda per trasferirsi in un ospizio risponde con ammirevole fermezza “lei ce l’ha la mamma? Sì? E ci mandi sua mamma all’ospizio”, al signore brizzolato a cui brillano gli occhi perché non gli pare vero di avere una casa con le tovaglie nuove, le lenzuola pulite, e lo champagne offerto dal Presidente in persona: “ma che fa, non lo apre?” “No, me lo tengo per quando torna Silvio, tanto viene spesso a trovarci, lui è l’uomo dei miracoli”.

Una comunità spaccata, quella aquilana, dove la telecamera della Guzzanti ricorda che le crepe maggiormente dolorose forse non sono neanche più quelle visibili negli appartamenti abbandonati o nei tanti vicoli del centro storico, ma sono quelle venutesi a creare dopo un anno e più di vita da terremotati. Da un lato quei cittadini che difendono a spada tratta Silvio, e il fido Guido, perché hanno risolto l’emergenza in poco tempo, mantenendo la promessa di nuovi alloggi in poco tempo. Dall’altro lato, c’è chi denuncia che le tante promesse fatte dal governo non sono state mantenute, o lo sono state solo in parte, e comunque non nei tempi strombazzati; chi invita ad aprire gli occhi, ad alzare la voce, con lo scopo di riprendersi la propria città, la propria vita, spezzettata nell’anonimato, nella noia, nella fredda glacialità delle case costruite a chilometri di distanza dal precedente centro abitato, o confinata in qualche lussuosa sala d’attesa degli alberghi sulla costa. Ad ogni modo, questo film merita di essere visto, perché dice tante cose che non sono mai apparse sui giornali, o alla televisione: una su tutte, ad esempio, che ogni singola cosa fatta trovare ai primi fortunati che hanno ricevuto i nuovi alloggi nella new town di competenza, deve essere restituita, come nuova, al momento della riconsegna delle chiavi. Comprese lenzuola, biancheria intima, posate, portafiori, ecc. Una menzione speciale merita anche il prof. Raffaele Colapietra, storico, che ha raccontato come ben “dieci omaccioni”, cioè dieci Vigili del fuoco, stavano per convincerlo ad abbandonare il suo rifugio in piena zona rossa, e che lui si era quasi convinto. “Poi sono tornato indietro, proprio sull’uscio, è stata mia mamma da lassù a darmi questa incredibile forza. Se ti prendono, sei finito”.☺

 

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